Il salario minimo, nel diritto del lavoro, è la più bassa remunerazione o paga oraria, giornaliera o mensile che in taluni stati i datori di lavoro devono per legge corrispondere ai propri lavoratori dipendenti ovvero impiegati e operai.
Il salario minimo è la retribuzione di base per i lavoratori di differenti categorie, stabilita per legge, in un determinato arco di tempo. Non può essere in alcun modo ridotta da accordi collettivi o da contratti privati. È in sostanza, una “soglia limite” di salario sotto la quale il datore di lavoro non può scendere.
Anche se le leggi sul salario minimo sono in vigore in molte nazioni, esistono differenti opinioni su vantaggi e svantaggi sulla sua eventuale introduzione. I sostenitori affermano che esso aumenta il tenore di vita dei lavoratori, riduce la povertà, ridurrebbe le disuguaglianze sociali, aumenterebbe il benessere lavorativo e costringerebbe le aziende ad essere più efficienti. Viceversa, gli oppositori lamentano il fatto che esso aumenti la povertà e la disoccupazione (in particolare tra i lavoratori non qualificati o senza esperienza) ed è dannoso per le imprese.
Nell’Unione Europea, in 21 dei 27 Stati membri è stato già introdotto il salario minimo. Oltre all’Italia, gli altri i Paesi dell’UE in cui non c’è il salario minimo sono Danimarca, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia.
ULTIME NOVITA’
La Premier Giorgia Meloni nella riunione ad hoc del 6 settembre ha fissato con i suoi le linee guida per portare il salario minimo in Parlamento. Il provvedimento è divenuto necessario dopo che anche i giudici hanno bocciato interventi arbitrari senza una valida normativa alle spalle.
Il Parlamento inizialmente ha votato una mozione che dice “no al salario minimo”, prevedendo misure e proposte alternative alla fissazione di una paga base in linea con la Direttiva UE sull’argomento.
La possibilità di salario minimo in Italia si è aperta con la proposta del 30 giugno 2023 di istituire il salario minimo a 9 euro. Nella riunione di maggioranza del 6 settembre 2023 è stata discussa.
L’impulso a fare un passo in avanti sulla fissazione del salario minimo e sulla tutela dei lavoratori in Italia, così come in altre parti d’Europa era arrivata dall’UE nel corso dell’estate 2022. L’UE, con la direttiva del 14 settembre 2022 ha chiesto agli Stati membri di garantire ai lavoratori – entro il 2024 – stipendi adeguati ai lavoratori. Inoltre, a rendere obbligatoria una scelta normativa è anche una recente sentenza del TAR della Lombardia.
GLI OBIETTIVI DEL PNRR sul SALARIO MINIMO
Il Ministero del Lavoro nel 2022 aveva individuato 11 progetti da finanziare nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dell’Italia. Tra questi vi è la garanzia di livelli di reddito adeguati, attraverso l’istituzione di un salario minimo orario.
Poi, il cambio di Governo ha previsto strade alternative per raggiungere gli obiettivi del PNRR. L’attuale Esecutivo mira a modulare la contrattazione collettiva, potenziarla e a prevedere una detassazione dei rinnovi dei CCNL. A questo meccanismo dovrebbero accompagnarsi premi ai lavoratori in funzione dei risultati raggiunti e incentivi fiscali per le nuove assunzioni.
L’obiettivo è superare lo schema dei contratti collettivi e disciplinare la soglia minima anche negli accordi tra privati. Ma, questa strada è stata bocciata dall’attuale maggioranza di Governo che vuole prevedere dei percorsi alternativi in tutela dei lavoratori.
IL SALARIO SECONDO LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NAZIONALE
In assenza di una legge sul salario minimo nazionale tutto si basa sulla contrattazione collettiva su cui i sindacati hanno enorme potere, specie quelli con un maggior numero d’iscritti.
Se è vero che la giurisprudenza tende a fissare i minimi tabellari comunque a tutti i lavoratori di categoria, iscritti o meno al sindacato, di fatto nessuna legge tutela tali dipendenti.
A oggi, la concertazione fissa le regole del salario minimo ma manca un riconoscimento di questa prassi mediante una legge ordinaria. Inoltre, in Italia un contratto collettivo di lavoro da applicare nei contratti di lavoro individuali ha dei limiti, ovvero:
- non è obbligatorio: l’imprenditore può non applicare nessun CCNL, ovvero stabilire un contratto aziendale creato ad hoc;
- gli ambiti di applicazione dei contratti collettivi talora si sovrappongono e il datore può scegliere lo strumento contrattuale ritenuto più conveniente;
- non è necessario il consenso del sindacato e perciò può essere fatta una scelta unilaterale dell’impresa;
- due unità produttive della stessa impresa possono avere contratti collettivi diversi.
In questo modo, una parte di lavoratori dipendenti rischia di non essere tutelata da un contratto collettivo e dunque, finisce per restare priva di un salario minimo.
LA POSIZIONE DEI SINDACATI SUL SALARIO MINIMO
Riguardo al salario minimo fra i sindacati c’è una netta contrarietà della Cisl, che sostiene il primato della contrattazione, e una posizione invece più possibilista di Cgil e Uil: in entrambi i casi si afferma la centralità della contrattazione, supportata da una soglia minima contrattuale prevista per legge. Fra le associazioni datoriali, invece, c’è una contrarietà diffusa. Fra gli altri, Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, si esprimono, pur con diverse sfumature, a favore della contrattazione collettiva, che rischia invece di perdere rilevanza con il salario minimo di legge. Fra le eccezioni, Confindustria non vede sfavorevole l’introduzione di un salario minimo, pur nella cornice del rilancio della contrattazione collettiva. Ci sono posizioni più articolate, come quella di Federdistribuzione per cui il salario minimo potrebbe essere applicato solo ai settori non regolati dalla contrattazione collettiva.
Confronto fra stipendi italiani ed europei
Non a caso, un intervento urgente sui salari è fra le proposte per l’attrattività del Paese formulate dal Gai (il sopra citato Global Attractiveness Index).
Il motivo: l’Italia è l’unico, fra i grandi paesi europei, a registrare salari addirittura più bassi di 30 anni fa.
Nel 2022, il salario medio in Italia era pari a 44mila 893 dollari (42mila 90 euro), nel 1991 era di 45mila 342 dollari. In Germania il salario medio è più alto di quello italiano di 14mila dollari, in Francia di 8mila dollari. In Spagna lo stipendio medio è più basso di quello italiano (42mila 859 dollari), ma è cresciuto dal 1991. In più, l’Italia ha un cuneo fiscale fra i più alti del mondo (il quinto fra i paesi OCSE, dietro solo a Belgio, Germania, Francia e Austria).
SINTESI
Emerge l’urgenza di affrontare il tema dei salari. La legge europea sul salario minimo non obbliga l’Italia ad alcun adeguamento. Le due strade previste sono: salario minio per legge oppure contrattazione adeguatamente diffusa. L’Italia rientra già nella seconda ipotesi. Ma i dati sopra citati mostrano come l’esigenza di intervenire ci sia.